NELLA LETTERA A COLOMBO IL MOTTO DEI TEMPLARI

Siamo nel 1495. La lettera è indirizzata al «Muy magnifico y spectable Señor Almirante de Las Indias, en la grande isla de Cibau». Ovvero Cristoforo Colombo. A scriverla è Jaime Ferrer, un personaggio, fuori del comune, di cui si sa molto poco. Si occupa di oro, argento, gioielli, pietre preziose: è ufficialmente un «lapidario». Ma la sua cultura spazia in ogni dove. Ferrer va giovanissimo a Napoli, nel 1466 si trova nella città sul golfo, nel palazzo reale: è la Napoli dei Cybo, dove Aronne è Viceré, dove si trovano anche i Santángel, i Pinelli, i Geraldini ... Frequenta, a sua volta, solo grandi famiglie, lo accomuna a Colombo una visione mistica e cattolica dell’ecumene. Conduce una vita austera, come Cristoforo, nonostante le ricchezze che passano per le sue mani, non mostra «mai attaccamento ai facili piaceri, non mancò mai di esercitare una rigorosa fedeltà alle sue convinzioni religiose e morali». Serietà, austerità, onestà, dirittura etica e una vasta cultura impregnata di spirito cristiano caratterizzano il personaggio. Parrebbe per molti versi un gemello di Colombo e di Toscanelli.
Nel 1488 si è recato a Genova per accompagnare l’ambasciatore Giovanni Galiano, ha reso omaggio nella chiesa di san Lorenzo al Sacro Catino, la reliquia verde smeraldo, il Sacro Graal che Gesù utilizzò nel corso dell’ultima cena per sciacquarsi le mani e nel quale fu raccolto il sangue di Cristo. Portato a Genova dalla crociata, ora chiama di nuovo al riscatto della Terra promessa. Di fronte al talismano verde, un simbolo dalla forza soprannaturale per i cavalieri e tutti i cristiani, anche Colombo deve essersi inginocchiato. La «cerca» del calice sacro e prezioso continua.
Ferrer e Colombo si conoscono? Si conobbero a Genova, a Napoli o altrove? Certamente si scrivono. Una lettera clamorosa: «La Regina nostra Signora mi ha ordinato di scrivervi... certo è che il compito, che voi state adempiendo, vi affida il ruolo di apostolo e ambasciatore di Dio, mandato per Suo divino giudizio a far conoscere il Suo Santo Nome in contrade che ignorano la verità. Non sarebbe frutto della ragione né precetto divino che partecipasse alle vostre gloriose fatiche in codeste contrade un cardinale di Roma, perché l’importanza e il peso del suo mantello e la dolcezza della sua morbida vita gli tolgono la voglia d’intraprendere un tale cammino; mentre è cosa certa che per questa medesima causa e missione venne a Roma il principe degli apostoli, magro, scalzo, con la tunica sdrucita, nutrendosi spesso di solo pane non saporito. E se da codesta vostra gloriosa missione l’anima vostra talvolta si eleva in contemplazione, trovi rifugio ai piedi del grande profeta e canti ad alta voce al suono dell’arpa: ‘Non nobis, Domine, non nobis, sed Nomini tuo da gloriam’». «Non a noi, non a noi, Signore, ma al tuo nome dona la gloria.» Una comunicazione, una parola d’ordine da Templare a Templare. Una frase che vale più di un’infinità di documenti, di testimonianze menzognere, equivoche e contraffatte. Poche parole: sono il sigillo e il suggello, non più una semplice ipotesi o una fascinosa suggestione. Rappresentano il motto, esatto fino alla virgola, dei cavalieri Templari. Quanto meno strano. L’ordine non si era mai estinto. Si era, possiamo dire, «riciclato», trasferendosi in altri ordini, o ha cambiato semplicemente il nome, nei casi peggiori è finito in sonno.

Jaume Ferrer ensenando al nino Colon

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