Il ritrovamento è straordinario. Il Direttore dei Musei Vaticani, lo storico dell’arte Antonio Paolucci, afferma di aver trovato quelle che potrebbero essere in assoluto le prime immagini degli indios americani, in un affresco che fu dipinto due anni dopo il primo viaggio di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo. Si tratta di uno schizzo raffigurante un gruppo di uomini nudi, che sembrano intenti a danzare, apparso durante il restauro dell’affresco la Resurrezione di Cristo dell’artista rinascimentale Andrea Pinturicchio, dipinto in una delle numerose sale che lui stesso decorò per il Papa spagnolo Alessandro VI.
E se a scoprire l'America non fosse stato un italiano? Ci sarebbe da tirare un segno nero sulle pagine di molti libri di storia, integrandoli con le informazioni rivedute e corrette. A dire che Cristoforo Colombo forse così italiano non lo era è uno storico portoghese, Manuel Rosa, che dell'argomento è un esperto e scrive sulla Legal History Review dell'università di Quinnipiac, in Connecticut di avere la certezza che il navigatore così italiano non fosse e che la teoria secondo cui nacque a Genova in realtà non ha solide basi storiche. All'agenzia stampa Efe lo storico ha spiegato che "il maggiorasco del 1948 è una falsificazione fatta 90 anni dopo che Colombo morì". Dice che a contestarlo furono già le autorità spagnole del tempo, stabilendo che quelle carte valevano "quanto un foglio bianco".
Recentemente, la letteratura scientifica è giunta alle conclusioni che la maggior fonte di rame che alimentò l’Età del Bronzo europea dopo il 2500 a.C. è ignota. Tuttavia, quegli studi dichiarano che le dieci tonnellate di lingotti di rame a forma di pelle di bue recuperati dal relitto naufragato di Uluburun, della tarda Età del Bronzo (1300 a.C.), al largo della costa della Turchia, era "straordinariamente puro" (oltre il 99.5%), e che non era il prodotto della raffinazione del minerale locale. Tutti i lingotti a forma di pelli di bue sono "contenitori di rame" sporchi, con vuoti e scorie, e si formavano ossidi quando i minerali erano conservati all’aperto, tra zone umide e fuochi di legna. Solo il rame del Michigan possiede una tale purezza, e si sa che è stato cavato in enormi quantità durante l’Età del Bronzo.
El arqueólogo chino Tang Jigen, experto en la dinastia Shang, está dispuesto a financiar una investigación genética para encontrar vínculos que conecten la dinastía china Shang con las civilizaciones peruana preíncas. Si dicha conexión se demostrara, ello significaría que los chinos llegaron al continente americano antes que Cristóbal Colón.
Il ritrovamento di un anello d’argento vichingo con la scritta "per Allah" potrebbe svelare l’esistenza di antichissimi rapporti commerciali e culturali fra le due popolazioni.
Fra il nono e il decimo secolo dopo Cristo le popolazioni scandinave facevano affari con gli islamici. Il ritrovamento di un anello d’argento vichingo con la scritta "per Allah" potrebbe svelare l’esistenza di antichissimi rapporti commerciali e culturali fra le due popolazioni. Il monile fu scoperto a fine ’800, ma ben presto è stato dimenticato nei magazzini di un museo svedese. Adesso è riaffiorato. "Fra la Scandinavia e califfati islamici medievali la distanza era immensa - ha spiegato Sebastian Warmlander dell’Università di Stoccolma - ma questo anello costituisce la prima prova di interazioni dirette fra i vichinghi e le popolazioni musulmane". L’anello, con un vetro ovoidale colorato tipico della gioielleria vichinga su cui è tracciata la scritta "per Allah", è stato analizzato da un team di archeologi svedesi coadiuvato da alcuni studiosi britannici e getta una nuova luce sulla portata dei commerci dei vichinghi. Ritrovato più di un secolo fa dove sorgeva l’antico avamposto commerciale di Birka, l’anello non era mai stato studiato ed era appunto quasi stato dimenticato insieme ad altri reperti in un magazzino. Sopra la scritta che solo ora è stata studiata, si trova l’incisione assai rovinata dal tempo e dall’usura di un inno ad Allah. Secondo gli studiosi, l’anello sarebbe appartenuto a una donna musulmana giunta in Scandinavia oppure, ed è più probabile, a una donna vichinga che lo aveva ottenuto grazie a uno scambio commerciale o alla ricettazione di oggetti rubati.
Presidente turco, navigatore genovese vide una moschea a Cuba.
Il presidente turco, l'islamico Recep Tayyip Erdogan, ha sostenuto l'America è stata scoperta da "marinai musulmani" già nel XII secolo e non da Cristoforo Colombo nel 1492. Lo scrive il quotidiano Hurriyet citando un discorso di Erdogan al primo "Summit dei leader musulmani dell'America latina" svoltosi a Istanbul. "Nei suoi diari, Cristoforo Colombo ha fatto riferimento alla presenza di una moschea sulla cima di una montagna a Cuba", ha detto Erdogan accreditando una controversa teoria.
Dai romanzi di fantascienza alla realtà, i mezzi interstellari a vela potrebbero essere il futuro per l'esplorazione delle galassie.
A cominciare dalla sonda SunJammer della Nasa che partirà a novembre e i cui meccanismi sono ispirati agli origami giapponesi.
SAN FRANCISCO -E se invece di partire dalla Terra le navi spaziali le facessimo dispiegare come un origami nello spazio, magari completandole stampando le componenti mentre viaggiano tra le galassie spinte dal vento delle stelle? L'idea per niente bizzarra, sarà messa alla prova a Novembre dai ricercatori delle Nasa. L'agenzia spaziale statunitense, si appresta infatti a lanciare SunJammer, una sonda spaziale che attraverserà il sistema solare spinta dalla forza d'una vela di un chilometro quadrato. L'ipotesi che gli esseri umani un giorno navigheranno lo spazio spinti dalla forza dei venti, come se si trattasse di uno dei nostri oceani, affonda le radici nella letteratura fantascientifica.
Quando l’uomo si è portato in America e come si sia diffuso in quel continente è un problema su cui c’è ancora molto da scoprire. Fino a poco tempo fa le informazioni potevano venire dallo studio dei fossili e delle culture. Si sono poi utilizzate le analisi dei polimorfismi genetici sulle popolazioni viventi. Attualmente si dispone di analisi compiute sul Dna antico di reperti di diverse epoche fra 14.000 e 10.000 anni fa, nel Montana, nell’Alaska, nel Nevada, e supportano l’ipotesi di una derivazione asiatica attraverso la Beringia, una vasta regione che univa l’estremità nordorientale dell’Asia all’Alaska e ora è sommersa. Secondo le comuni vedute i Paleomerindiani mostrano caratteristiche diverse dai nativi odierni, essendo caratterizzati da crani stretti, fronte prominente.
I Guanci sono gli abitanti antichi delle Canarie, stabilitisi nell'arcipelago migliaia di anni prima della conquista spagnola avvenuta nel XV secolo. Di origine ignota, nonostante la loro scomparsa, i Guanci si sono lasciati dietro non poche vestigia. Descritti come alti, di carnagione chiara e dai capelli dorati, secondo alcuni potrebbero essere i discendenti diretti dei superstiti di Atlantide.
Le Canarie formano l’arcipelago di sette isole situato nell’Oceano Atlantico al largo dell’Africa nord-occidentale. Esse fanno parte, a loro volta, della cosiddetta Macaronesia, ovvero un nome collettivo moderno utilizzato per indicare diversi arcipelaghi dell’oceano Atlantico settentrionale situati al largo delle coste africane. Il nome Macaronesia deriva dal greco μακάρων νῆσοι (makarōn nêsoi) e significa Isole dei Beati, espressione utilizzata dagli antichi geografi greci per riferirsi ad alcune isole che si trovavano al di là dello Stretto di Gibilterra. In tali isole, dette anche Isole Fortunate, si riteneva che gli eroi e i mortali di natura straordinaria venissero accolti dagli dei. Le Canarie, e le altre isole della Macaronesia, a causa della loro posizione geografica e delle leggende che le circondano, sono considerate da alcuni ciò che resta dell’antico e perduto continente di Atlantide, che secondo Platone si trovava al di là delle Colonne d’Ercole (Stretto di Gibilterra) e che sprofondò sul fondo dell’oceano nel giro di una notte. Da quanto si è a conoscenza, quello dei Guanci è stato il primo popolo a stabilirsi sulle Isole Canarie. Di origine incerta, la cultura dei Guanci è andata perduta, lasciandosi dietro numerose testimonianze interessanti. In realtà, i Guanci rappresentano un serio mistero per l’antropologia e la storia. I ricercatori pensano che i primi coloni siano giunti intorno nelle Canarie intorno al 3 mila a.C., provenienti dall’Africa. Il problema, però, sono i tratti somatici dei Guanci che, come testimoniano diverse mummie trovate in alcune grotte dell’arcipelago, erano di carnagione chiara, alta statura e dai capelli rossastri, caratteristiche delle latitudini nordiche, più che africane. Il secondo mistero riguarda un rapporto di Plinio il Vecchio, il quale riferisce che, secondo Giuba, re di Mauretania, i Cartaginesi avrebbero visitato l’arcipelago intorno al 50 a.C. sotto la direzione di Annone e lo avrebbero trovato privo di abitanti, ma vi avrebbero anche scorto i resti di edifici imponenti. Se ne potrebbe dedurre che i Guanci non siano stati i suoi primi abitanti, o che i Cartaginesi non avessero esplorato a fondo le isole. Al momento della conquista spagnola, i Guanci erano fermi all’età della pietra. Giovanni Boccaccio, nel suo De Canaria et insulis reliquis ultra hispaniam noviter repertis, descrive i guanci come una popolazione pacifica. Vivevano nudi, conoscevano l’allevamento (capre pecore e cinghiali) e l’agricoltura, coltivando frutta (soprattutto fichi), ortaggi e legumi, frumento, orzo e biade da cui ricavavano farina che però consumavano sciolta nell’acqua, non conoscendo il pane. Vivevano in case costruite di pietre squadrate e legno e imbiancate all’interno. Non si conosce molto sulle religioni dei Guanci. Essi professavano una credenza generalizzata in un essere supremo, denominato Achamán a Tenerife, Acoran a Gran Canaria, Eraoranhan a Hierro e Abora a La Palma. Le donne di Hierro adoravano una dea di nome Moneiba. Tradizionalmente, gli dei e le dee vivevano sulle cime delle montagne da cui discendevano per ascoltare le preghiere dei fedeli. A seguito della conquista spagnola, ben poco resta dei Guanci, anche se il nazionalismo canario tenta con tutte le forze di farne rivivere la memoria. Perfino lo studio delle loro mummie e dei loro resti archeologici è avanzato poco al confronto dello studio di altri popoli assai più remoti.
Un'equipe di esploratori americani ha annunciato di aver ritrovato il relitto della Santa Maria, la più grande delle tre navi con le quali Cristoforo Colombo attraversò l'Atlantico per prima volta, nel 1492, a poco più di 5 secoli dal suo naufragio al largo della costa settentrionale di Haiti. Barry Clifford, considerato uno dei più importanti esploratori subacquei del mondo, ha detto al quotidiano britannico The Independent che «tutta la geografia, la topografia marina e le prove archeologiche suggeriscono fortemente che il relitto ritrovato corrisponde a quello della famosa caravella di Colombo, la Santa Maria». L'ammiraglia del navigatore genovese in realtà non era tecnicamente una caravella, come tramanda la tradizione, bensì una caracca, lunga 21 metri e con un ponte a tre alberi: partì dal porto di Palos, in Andalusia, il 3 agosto 1492 - insieme con la Pinta e la Nina - e s'incagliò su una barriera corallina al largo di Haiti il 25 dicembre dello stesso anno. Finora, Clifford e i suoi collaboratori avevano analizzato in dettaglio una zona individuata nel 2003 da un altro gruppo di esploratori, misurando e fotografando i fondali prima di andare oltre. «Il governo haitiano ci ha aiutato molto, e ora dobbiamo organizzare con loro uno scavo archeologico del relitto», ha detto l'esperto americano. Usando magnetometri marini, dispositivi di radar e sonar e esplorazioni di sommozzatori, Clifford ha studiato le anomalie della piattaforma marittima, comparato i risultati con informazioni tratte dai diari di navigazione di Colombo e da materiale cartografico dell'epoca e misurato l'impatto delle correnti per stabilire i movimenti del relitto dopo il naufragio.
Il cristianesimo in Cina non è arrivato né con Matteo Ricci né nell’Ottocento, con le cannoniere europee (come sostiene la propaganda anticomunista), bensì, fin dal VII secolo d.C., grazie a un drappello di monaci siro-orientali.
Matteo Nicolini Zani, monaco e sinologo, che ha indagato quella stagione missionaria, ci consegna ora uno studio approfondito, frutto di una decina d’anni di lavoro, sui Monaci cristiani in terra cinese (ed. Qjqajon). Un libro che, mentre rilegge il passato, guarda con speranza al futuro, al momento in cui sarà finalmente possibile una nuova presenza di contemplativi nel "Regno di mezzo".
Nel libro sono presentate le vicende dei Carmelitani (che avevano 5 fondazioni in tutta la Cina); la storia del monastero trappista di Nostra signora della consolazione (Yangjiaping) e la sua fine brutale, con il martirio di 33 monaci; la presenza dei Benedettini e, infine, il monastero delle Beatitudini, promosso da padre Vincent Lebbe, uno dei maggiori fautori dell’inculturazione del cristianesimo in Cina.
Nel 1225 il teologo inglese Roberto Grossatesta scrive De Luce, un testo in cui sono preconizzate alcune idee che stanno alla base della moderna cosmologia. Alcuni ricercatori hanno provato a tradurre in equazioni quelle idee, dimostrando che sono addirittura compatibili con le attuali teorie sull’esistenza di universi multipli.
Chi l’avrebbe detto che in pieno Medioevo, periodo storico non certo aperto alla scienza, sarebbero stati gettati, seppur involontariamente, i semi di una delle teorie oggi più avanzata e dibattuta sull’evoluzione del cosmo, ovvero quella che prevede l’esistenza di più universi? Quando le ‘streghe’ venivano bruciate come fossero fiammiferi e i più eminenti dotti giuravano e spergiuravano che la Terra fosse al centro dell’Universo, fulcro di quella ordinatissima e perfettissima armonia celeste, il teologo inglese Roberto Grossatesta scriveva il trattato De Luce (La Luce). Era il 1225 quando Grossatesta, che aveva studiato le opere recentemente riscoperte di Aristotele sul moto delle stelle e della Terra in una serie di nove sfere concentriche, propone nel suo scritto l’idea di un universo iniziato con un lampo di luce. Questo lampo avrebbe spinto tutta la materia verso l’esterno, da un piccolo punto fino a trasformarla in una grandissima sfera. Questa analogia vi ricorda qualcosa? Ma sì, è sorprendente moderna, assai vicina al concetto che sta alla base della ben nota teoria del Big Bang. Una simile visione, o meglio previsione, annidata nel paludato latino del De Luce, non poteva certo lasciare indifferenti anche qualcuno dei ricercatori del nostro XXI secolo, e così è stato. Tom McLeish, fisico presso la Durham University nel Regno Unito, aiutato da alcuni colleghi ha provato a ‘tradurre’ le speculazioni di Grossatesta dalla lingua di Cicerone a quella della matematica contemporanea, fatta di simboli, equazioni differenziali e complessi metodi di approssimazioni numeriche, per vedere a quali risultati avrebbero portato. “Abbiamo cercato di scrivere in termini matematici quello che il teologo ha detto con parole latine”, dice McLeish. “Abbiamo così a disposizione una serie di equazioni, che possono essere inserite nei computer e risolte. Stiamo esplorando con il solo ausilio della matematica un nuovo tipo di universo, che poi è proprio quello che i fisici teorici delle stringhe fanno a tempo pieno. Possiamo considerarci dei teorici delle stringhe medievali”.
Nel 1577 il cartografo Gerardus Mercator scrisse una lettera contenente solo una dettagliata descrizione del contenuto di un testo geografico relativo alla regione artica dell'Oceano Atlantico, forse redatta oltre due secoli prima da Jacob Cnoyen.
Cnoyen aveva saputo che, nel 1364, otto uomini erano tornati in Norvegia dalle isole artiche, uno dei quali, un sacerdote, fornì al re norvegese numerose informazioni geografiche. I libri di studiosi quali Carl Christian Rafn all'inizio del XIX secolo forniscono suggerimenti per la dimostrabilità di questa tesi. Un sacerdote di nome Ivar Bardarsson, che era stato soprattutto in Groenlandia, appare negli annali norvegesi dal 1364, e copie della descrizione geografica della Groenlandia sopravvivono tuttora. Inoltre, nel 1354, re Magnus Eriksson di Svezia e Norvegia aveva scritto una lettera nominando un legale di nome Paul Knutsson a capo di una spedizione presso la colonia della Groenlandia per verificare se la popolazione stesse abbandonando la cultura cristiana. Un altro dei documenti ristampati dagli studiosi del XIX secolo è un tentativo del vescovo islandese Gisli Oddsson, nel 1637, di redigere una storia delle colonie artiche. Data l'abbandono della cristianità in Groenlandia al 1342, sostenendo che fossero tornati alla cultura americana. Coloro che sostengono un'origine nel XIV secolo per la pietra di Kensington, affermano che Knutson potrebbe avere viaggiato oltre la Groenlandia fino all'America settentrionale, in cerca dei rinnegati groenlandesi, che molti dei suoi uomini siano morti in Minnesota e che solo in otto fecero ritorno in Norvegia.