ODESSA

Nell’aria tersa, gelida di marzo
il cielo è azzurro
sventola una bandiera
è gialla e azzurra.


Il coro dell’opera di Odessa
davanti al palazzo bianco
canta “va pensiero”,
“va pensiero sull’ali dorate.”
Sale il canto, fanno eco
le ali delle bombe.
A pochi chilometri
la carneficina è rosso sangue.
Le donne in prima fila
i cappelli di lana, le pellicce
il maestro dirige
pacato con le mani nude
che ignorano le armi,
i violini, i contrabbassi
gli archetti in sintonia:
“va pensiero sulle ali dorate
l’aure dolci del suolo natal”.
Un canto composto, un’invocazione
un concerto umano, lontano, diverso
dal concerto rabbioso che uccide
a pochi chilometri
è una mattanza tra fratelli.
L’occhio di calce della morte
“ci favella del tempo che fu”.
Un’invocazione, una preghiera
“oh mia patria sì bella e perduta
o membranza sì cara e fatal”.
Si modula il canto, sale,
si acquieta come la bandiera
mentre cantano anche
le file dei cadaveri:
uomini, capelli bianchi
ragazzi, donne indomite:
“O l’ispiri il Signore un concerto
che ne infonda al patire virtù”.

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