LA LETTERA INVIATA IN VATICANO DA TAVIANI

Il documento, a firma del senatore Taviani, inviato ad una "Eccellenza" dietro la quale si nascondeva un personaggio che si presentava come il discendente di papa Innocenzo VIII.

Il documento qua riprodotto (cliccare l'anteprima per visualizzare una versione ingrandita), a firma del senatore a vita Paolo Emilio Taviani, recentemente scomparso, porta la data del 26 luglio 1990, quando non era iniziata la campagna degli accademici contro le tesi di Ruggero Marino, che non aveva scritto ancora il suo primo libro su Colombo, dal titolo “Cristoforo Colombo e il papa tradito”, ma che continuava a pubblicare le sue ricerche sulla terza pagina de “Il Tempo” di Roma. La lettera era indirizzata ad un’”Eccellenza” dietro la quale si nascondeva un personaggio che si presentava come il discendente di papa Innocenzo VIII, la stessa persona che aveva scritto al giornale a Ruggero Marino le poche righe dalle quali era cominciata la sua inchiesta sulla scoperta dell’America. Taviani era Presidente della Commissione colombiana, della quale facevano parte molti di quei professori e soprattutto professoresse, che si sarebbero successivamente distinti con i loro interventi in sede di convegni e di conferenze, con libri e con articoli (in particolare sul “Secolo XIX”, dove su Colombo non si scriveva nulla senza interpellare il senatore a vita) per mettere sotto accusa la ricerca del giornalista. Quando proprio, messi alle strette in qualche contraddittorio, non ci si poteva esimere dal valutare seriamente i contenuti degli studi di Marino, i professori si trinceravano dietro l’alibi che le tesi del giornalista non potevano essere prese in considerazione, poiché erano portate avanti secondo canoni non scientifici quanto alla forma. Quella stessa forma verso la quale il libro voleva essere una “scientifica” provocazione.
Ma dalla lettera di Taviani è evidente che le “fesserie” (così erano state definite sempre da Taviani le prime uscite di Ruggero Marino) furono prese in serissima considerazione (il senatore spreca addirittura un aggettivo come “geniale” e ammette la presenza negli articoli di Marino, di  una “connessione storiografica”, sfuggita “anche” a lui, ammissione che deve essergli costata non poco) fin dall’inizio, come dimostra la lettera con cui Taviani si rivolse addirittura alle “autorità competenti” in Vaticano. Oltre ad aver dato ordine di rovistare negli archivi genovesi.
Taviani parla anche, a proposito della “sponsorizzazione” dell’impresa, da parte di Innocenzo VIII, di preesistenti leggende; e di un capitolo nuovo aperto dai libri dello studioso inglese Morison. Per la verità leggende in questo senso non ne esistono; tanto meno il Morison traeva conclusioni che riconducessero in qualche modo al pontefice. E’ evidente il tentativo di non volere riconoscere l’originalità di una tesi; il senatore annuncia inoltre una lettera aperta a “Il Tempo”, che non sarà mai spedita, probabilmente dietro consiglio degli stessi professori, dei quali comunque Taviani era costretto a tenere conto. In compenso il senatore ebbe l’onestà di chiamare in un secondo tempo Marino per dirgli che “stava colpendo giusto”, salvo poi, a libro uscito (in cui Marino rivelava quali erano stati i suoi rapporti con i vari professori), eclissarsi.lettera di Taviani al Vaticano 26.07.1990 A Marino inoltre fu comunicato che il suo libro, appena uscito, era difficilissimo da trovare in molte delle librerie di Genova, proprio là dove il suo primo editore, la Newton Compton, aveva concentrato la diffusione. Nel reparto dei libri usciti per il Cinquecentenario, alla Mostra di Genova del 1992, come nelle pubblicazioni che accompagnarono le Celebrazioni, tranne qualche rarissima eccezione, il libro non compariva e non veniva menzionato, così come all’autore non venne fatto alcun invito in sedi ufficiali. Solo a celebrazioni concluse, Marino fu chiamato a tenere una relazione all’Università di Genova dal Preside della facoltà di Magistero, lo storico Francesco Perfetti, Direttore di “Nuova Storia Contemporanea”, che si mostrò favorevole alle sue ricerche. Nella Bibliografia Colombiana, che elenca quanto è stato scritto (articoli compresi) su Colombo dal 1793 fino al Cinquecentenario il nome di Ruggero Marino non compare. Mentre all’estero, nel libro “America es otra cosa” (vedi riproduzione della prima pagina del capitolo) il saggista e scrittore German Arçiniegas, letterato e saggista di fama internazionale, che aveva già illustrato le tesi di Marino in vari articoli sui quotidiani colombiani e spagnoli) dedicava un capitolo, dal titolo “No fue Isabel sino Inocencio”, alla “scoperta” dello scrittore. Scoperta: proprio quella parola che alcuni professori e in particolare alcune professoresse hanno voluto sempre evitare, per non ammettere la clamorosa e “scientifica” lacuna di un papa genovese che avevano in casa e di cui non si erano accorti. E le possibili clamorose implicazioni che ne potrebbero seguire.
Ruggero Marino ha pubblicato in seguito una quarta edizione della sua opera aggiornata ed ampliata, con prefazione di Franco Cardini, per i tipi della RTM, fondata da Riccardo Tanturri. Dal 1990 l’atteggiamento di molti ricercatori nei confronti del “dilettante-giornalista” è mutato. Le sue tesi sono state riprese da molti studiosi e dai media internazionali. Ma una orchestrata congiura del silenzio, nei confronti di quella che lo stesso Taviani definì una “bomba”, non è mai venuta meno. Bisogna paventare anche una sorta di “tangentopoli intellettuale” e di vera e propria “Intellettopoli” compreso il capitolo, mai approfondito, della vergognosa gestione delle Colombiadi e di molti convegni lautamente “sponsorizzati”. Per finire con una specie di sudditanza che Ruggero Marino definisce “vergognosa e secolare” nei confronti della storia scritta ed imposta dagli spagnoli. E senza contare i “plagiator scortesi”, così li definisce l’autore, che già si sono affacciati a tentare di scippare, con due libri, molti degli argomenti già proposti e talvolta confidati ad inaffidabili “compagni di strada”. A cominciare dalle implicazioni cavalleresco-templari dell’avventura colombiana per finire alla possibilità di una consanguineità strettissima fra il papa e Colombo.
Ma quali sono gli ostacoli persistenti, al di là della “linea Maginot” di un’Accademia che vede franare gli argini, di fronte ad una tesi e ad una rivisitazione storica, che ancora oggi potrebbe essere “impossibili”? Marino ne elenca diversi. A cominciare da un pontefice, Innocenzo VIII, di sangue anche ebreo e ad un disegno, che prevedeva l’unione delle tre grandi religioni monoteiste. Un progetto, che ricorda lo spirito di Assisi di Giovanni Paolo II, ma ancora oggi avversato dagli integralisti della chiesa cattolico-romana. Il comportamento di Innocenzo VIII parrebbe inoltre aperto al matrimonio dei preti, visto che papa Cybo sposa platealmente i due figli riconosciuti in San Pietro, mentre lo inseguono accuse di avere favorito il concubinato. Non mancano risvolti esoterici, alchemici e cabalistici e quindi probabilmente “eretici”, per una Chiesa da rifondare, in linea con le idee che portava avanti il Rinascimento. Dalla sfera teologica, alla sfera anche politica. La Spagna (vedi Opus Dei) è sempre il paese cattolicissimo, tuttora potentissimo al di là del Tevere; lingua spagnola parlano il Centro ed il Sudamerica, che è il serbatoio naturale del Cristianesimo. Un ribaltamento storico di questa portata, che travolgerebbe le false icone di Isabella di Castiglia (la regina che gli spagnoli insistono a volere fare santa) e Ferdinando d’Aragona che conseguenze avrebbe?

Il medioevista Franco Cardini, in questo senso, è stato lapidario, dicendo all’autore:”Anche se avessi ragione questa storia non potrà mai venire a galla”. Ma i tempi stanno cambiando e la figura del papa deçaparecido come della sua politica aperta e mondialista sul fronte arabo-giudaico si stanno clamorosamente riattualizzando.

 

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LE PAROLE DEL GRANDE SCRITTORE CILENO GERMAN ARCINIEGAS

 

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LETTERA DI RINGRAZIAMENTO DEL CARDINAL BERTONE

 

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