Allora pare accertato che anche i coccodrilli abbiano attraversato l’Atlantico, in ere precedenti, dall’Africa all’America. E quello che è riuscito ad un animale non dovrebbe essere riuscito a degli uomini? Ai popoli del mare o di grandi navigatori?
Il Cristoforo Colombo dei coccodrilli, che attraversò l’Atlantico direzione America. La ricostruzione in 3D dei resti del cranio ha permesso di identificare nel rettile sahariano l’antenato degli attuali coccodrilli americani: è stato ritrovato ad As Sahabi (Libia) e conservato per quasi un secolo presso il Museo Universitario di Scienze della Terra (Must) della Sapienza Università di Roma. Lo studio, come riporta l’Agi, è stato sviluppato da Massimo Delfino dell’università di Torino in collaborazione con l’ateneo di Firenze e altri ricercatori italiani, e pubblicato sulla rivista «Scientific Reports».
«Grande risultato scientifico»
«Abbiamo visto che il coccodrillo di As Sahabi condivide con le specie americane numerose particolarità anatomiche - commenta Massimo Delfino, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino - Ma non solo, abbiamo confrontato, grazie a specifici software, i dati ottenuti con le caratteristiche anatomiche di altre specie sia esistenti che fossili con lo scopo di realizzare una analisi filogenetica che ha chiarito che questa specie rappresenta una sorta di anello di congiunzione fra le specie africane e quelle americane». «Il nostro è un risultato di estrema importanza - afferma Lorenzo Rook dell’Università di Firenze - che valorizza le collezioni storiche di un giacimento paleontologico unico per la comprensione dei popolamenti faunistici dell’area circum-mediterranea alla fine del Miocene».
Scansioni tomografiche
Attraverso l’uso di scansioni tomografiche i ricercatori hanno ottenuto le immagini 3D sia dell’interno, sia dell’esterno del cranio. Le dimensioni della testa hanno permesso di stabilire che il coccodrillo fosse di età adulta e lungo poco più di 3 metri.
La traversata 7 milioni di anni fa
Secondo quanto emerge dallo studio, è possibile che alcuni esemplari di coccodrilli siano partiti circa 7 milioni di anni fa dal Nord Africa, e abbiano verosimilmente attraversato l’Oceano Atlantico per arrivare sulle coste del Sud America, dove si sono adattati e diversificati dando origine alle specie di «Crocodylus», che ancora oggi abitano il continente americano. La ricerca colloca il reperto africano del Miocene, identificato come «Crocodylus checchiai», alla base dell’albero evolutivo dei coccodrilli americani.
«Crocodylus checchai»
«L’esemplare di Crocodylus checchiai - spiega Raffaele Sardella - è il cranio meglio conservato di questa specie vissuta nel Miocene, oltre 7 milioni di anni fa, in Africa, quando il Sahara era un territorio molto diverso da come appare oggi, popolato da grandi mammiferi e ricco di vegetazione e corsi d’acqua». «L’uso di queste tecnologie - aggiunge Dawid A. Iurino, ricercatore del team che ha elaborato le TAC realizzate sul cranio libico, ora all’Università di Perugia - apre grandi prospettive nel campo della ricerca paleontologica e permette di analizzare elementi altrimenti impossibili da osservare».
Fossili
I risultati dello studio trovano conferme anche da un punto di vista cronologico. Nel Nuovo Mondo infatti, i fossili più antichi di Crocodylus risalgono all’inizio del Pliocene (5 milioni di anni fa) risultando ben più recenti della specie studiata. È quindi possibile che durante il Miocene alcuni esemplari di C. checchiai (o una forma affine e ancora sconosciuta) abbiano attraversato l’Oceano Atlantico approdando sulle coste del sud America. «L’attraversamento di un così ampio tratto di mare, che nel Miocene era comunque più breve di oggi, - spiegano i ricercatori - potrebbe apparire sorprendente, ma tra i coccodrilli attuali esistono specie in grado di tollerare l’elevata salinità dell’acqua marina e di compiere ampi spostamenti in mare aperto sfruttando le correnti di superficie. Studi con tracciamento satellitare condotti su alcuni esemplari di coccodrillo marino australiano (Crocodylus porosus), hanno rivelato come, sfruttando le correnti, questi rettili siano in grado di percorrere in diversi giorni oltre 500 km in mare aperto».