Sulla cronaca genovese de Il Giornale sono comparsi una serie di attacchi concentrici sul libro di Ruggero Marino in una vera e propria adunata da "arrivano i nostri".

Questo articolo è stato scritto mesi fa in risposta ad una intera pagina di articoli, a comiciare da quello del giornalista Rino Di Stefano, che aveva aperto la polemica (che si era trascinata anche nelle "Lettere al Direttore"), contro il libro di Ruggero Marino "Cristoforo Colombo l'ultimo dei Templari". L'autore aveva replicato da tempo, come era stato espressamente invitato a fare. Ma a distanza di mesi, forse per questioni di lunghezza, la risposta non ha visto la luce. Per cui riproponiamo integralmente il testo che, punto per punto, confutava o replicava alle affermazioni del redattore, di Aldo Agosto, Gabriella Airaldi e Dario G. Martini.

Caro Direttore, ancora un grazie per lo spazio concesso. E comincio da una premessa. Noi giornalisti, come ben sa, quando non cogliamo una notizia importante confessiamo e riconosciamo di avere preso “un buco” ed in genere veniamo richiamati da qualcuno per la grave omissione. Nel lontano 1990-91(!) io mi rivolsi, in tutta umiltà, a molti dei componenti della Commissione scientifica colombiana, che doveva presiedere alle celebrazioni del Cinquecentenario della scoperta dell’America, per averne in cambio solo sorrisini di scherno e un atteggiamento di supponenza e di arroganza degno del migliore razzismo culturale. Ma i frustranti contatti avuti mi fecero anche capire che di papa Innocenzo VIII, il genovese Giovanni Battista Cybo, il “Dominus orbis” del tempo, la presenza in terra più importante dell’ecumene, non sapevano, in riferimento a Colombo, praticamente poco più di niente. Anche da parte di chi oggi parla anche di papi e di quel papa. E’ per questo che, a distanza di 16 anni, io non accetto più bacchettate sulle mani da chi, pur autogarantendosi lo “jus loci”, pur essendo o meno di “scuola genovese”, non ha solo preso “un buco”, ma è precipitato in una voragine pazzesca, per non essersi accorto e non avere valutato la presenza di un pontefice definito, ripeto, come Colombo, genovese e in nome del quale, come era usanza, si piantava la croce sulle nuove terre. Un vicario di Cristo rimasto sulla cattedra di Pietro dal 1484 al 1492, ovvero tutto il periodo cruciale di quella che Taviani ha definito “la genesi della grande scoperta”. Io sfido i guru dell’unica verità possibile a fornire loro una documentazione in proposito circa la presenza nei loro studi di Innocenzo VIII. A dimostrare loro di avere compiuto un disegno organico (che Taviani definì “una bomba”) e non solo e in rarissimi casi qualche infinitesimale citazione, avulsa da qualsiasi conclusione, circa l’importanza dell’intervento della Chiesa ai fini del finanziamento e della progettazione della spedizione di Colombo. Che oggi si può supporre “interamente italiana”, indipendentemente dall’origine del navigatore, attraverso Giovanni Battista Cybo ed il suo consuocero il Magnifico Lorenzo, un cui banchiere fu sempre tra gli “sponsor” di Colombo. E’ stato questo cinquecentenario “silenzio” a “decontestualizzare” e a fuorviare le vicende colombiane. In una storia cambiata dai vincitori, gli Spagnoli. Con re Ferdinando da una parte ed il papa spagnolo Borgia, con il figlio Cesare, dall’altra. “Principi” campioni di quel “fine che giustifica i mezzi”, che conierà il fiorentino Machiavelli.
E confesso che mi dispiace di dovermi scontrare con un collega come Rino di Stefano. Ma non comprendo perché lui, come i professori, possa insolentirmi a suo piacimento e si meravigli per il fatto che gli ho risposto per le rime, visto che mi sono stancato da tempo di porgere l’altra guancia. E mi dispiace che anche lui continui a fare disinformazione, a cominciare da quando afferma “Non sono volutamente entrato nel resto del libro perché sotto il mio articolo ce n’era un altro, appunto quello dell’amica Susy De Martini, che recensiva proprio l’intero volume”. Lei Di Stefano è giornalista come me, sa cosa significa il termine recensione, lei credo sia anche cronista. La De Martini, in dimensioni fra l’altro molte ridotte rispetto al suo articolo, ha fatto una cronaca puntuale della presentazione del mio libro, riportando qualche frase encomiastica dei prestigiosi partecipanti: Gianni Letta, Folco Quilici, Mauro Mazza, Padre Paolo Scarafoni Rettore Magnifico dell’Università europea, Francesco Perfetti e Piero Melograni, questi ultimi noti storici accademici e membri della Commissione scientifica colombiana, della quale anche io, forse immeritatamente, faccio parte. La De Martini, lei sì, che pure non nasce giornalista, ha fatto cronaca, facendo solo informazione. Lei Di Stefano ha anche scritto, riportando e criticando le mie parole: “La storia di Colombo e di papa Cybo, ce ne rendiamo conto, costituisce una sorta di labirinto senza fondo. In un gioco di specchi senza fine”. A me pare un’ammissione di umiltà rispetto a quello che io stesso affermo e che propongo come tesi di ricerca ulteriore, ma che non “spaccio” assolutamente come un dogma, come fa la finta scienza. Io ho sempre saputo che la scienza, quella vera, non la corazza scientifica o le affermazioni di auto-scientificità e auto-professionalità di cui troppi si paludano a difesa del già noto, è figlia del dubbio. Mentre nessuno mi convincerà che la storia di Colombo sia il frutto del preteso rigore professional-scientifico. Colombo è per gli spagnoli scientificamente loro, altrettanto per i portoghesi, per i catalani, per i maiorchini… non parliamo poi degli italiani: Genova, Savona, Quinto, Cuccaro, Cogoleto, Piacenza, Nervi, Bugiasco, Terra di Milano…e via così. Ognuno con le sue brave pezze d’appoggio documentali. In un girotondo dalla sconcertante “scientificità”. E mai come per Colombo si può richiamare l’abusato paragone del marziano, al quale anche lei, purtroppo, ha fatto ricorso riferendosi alle mie “visioni”. Di un “marziano-vu-cumprà-chicano-messicano”, che varca la frontiera ed entra negli Stati Uniti in pieno terzo millennio; e nella più sbandierata delle moderne democrazie pretende di andare da Bush. Per essere ricevuto alla Casa Bianca. Dove si dice pronto a trovare altri pianeti ed altre vite, purché gli vengano affidate tre astronavi. A patto di diventare il signore di quei nuovi mondi. E quel tonto di Bush gli darebbe la sua benedizione. E’ credibile oggi tutto questo? E’ credibile tutto questo, trasferito nel 1492, con re come Ferdinando ed Isabella, che fanno fuori i grandi di Spagna, musulmani ed ebrei? E’ credibile la vicenda di un oscuro, ignorante marinaio che non sa niente, ma che indovina tutto, che frequenta il re del Portogallo, che poi tratterà, a scoperta avvenuta, peggio di come lei praticamente tratta me? In quel Portogallo dove sposa a corte una nobile fanciulla? Cosa normalissima, a quel tempo, in notorie e conclamate democrazie…? Che va in Spagna e viene ricevuto dalle teste coronate alle quali impone il suo diktat? Che se la fa con i più grandi cavalieri iberici, con monaci e cardinali? Che dà a papa Borgia le direttive per spaccare in due il mondo come una mela? Che si scrive con il Toscanelli, uno dei massimi scienziati del tempo? Che minaccia di andare per qualcuno dal re di Francia per altri dal re di Inghilterra, dove si trovava il fratello Bartolomeo? Caro Di Stefano le pare credibile tutto questo fumetto d’antiquariato, questa “soap opera” d’annata-e-dannata ? Ho letto anche Le Goff (un’autorità assoluta, ma non vorrei sbagliare il riferimento) che afferma che per quei tempi non ci può fermare ai documenti, spesso nella loro precaria presenza, ma bisogna osare con la fantasia. A me che, anche con intuizione-fantasia e non solo, poiché il tutto è sempre suffragato da fonti, se si sa o si vuole leggere, procedo nel mio solitario e rischioso fai-da-te, al quale mi sono visto costretto dopo aver inutilmente tentato un lavoro in équipe, pare che in questa “scientifica” ricostruzione di fantasia ce ne sia troppa. Ma aggiungo, e qua sfioro l’arroganza, che ci sono elementi più documento del documento, dai quali non si può prescindere: e sono la logica, il buon senso, in certi casi addirittura l’evidenza. Che nella tradizione colombiana sono spesso assenti, a dispetto degli sbandierati documenti. Io, pertanto, mi attengo alla regola di chi ha detto “procedo con la mente aperta, ma non al punto che il cervello mi caschi per terra”.
Lei, questa volta, aggiunge: “non intendevo essere offensivo… non intendevo affatto sostenere che lei avesse scritto delle “cretinate””. Vado a rileggere: “questa premessa di cretinate ha lo scopo di presentare due nuove (ma non troppo) versioni sulla nascita di Cristoforo Colombo. Figlio di un Papa o di un principe spagnolo? La prima è quella del giornalista e scrittore…”. O io non capisco o lei si spiega male. E persevera: “Ha forse avuto l’impressione che contestassi nello specifico qualunque altro argomento che non fosse la presunta paternità di Colombo?”. No, non l’ha fatto, ma questo non significa che lei salvasse il resto che ometteva, anzi aggrava il suo intervento. Anche se ora finalmente ammette: “ho trovato il suo libro interessante, molto ben documentato, ma non condivisibile…” Alla buon’ora, sarebbero bastate queste poche parole per evitarci molti dissapori, anche se le consiglio di non trasmettere queste inedite riflessioni ai colombisti genovesi. Mentre non posso che smentire tutte le altre che fa sul mio conto: che sono troppo sensibile alle critiche (sono 16 anni che ne ricevo da altri pulpiti, aldilà anche dei molti consensi, perché avrei dovuta piccarmi per quelle di un giornalista?), che considero nemici quelli che non la pensano come me (si vede che non mi conosce affatto, io chiedo solo un onesto confronto), che la diversità di opinioni arricchisce il dialogo…(a me pare che il dialogo lo si voglia solo strozzare, per non parlare delle censure vere e proprie sopravvenute). Suvvia Di Stefano non cerchi di portare acqua forzosamente al suo mulino, autodefinendosi per giunta “galantuomo” (io sono di quelli che preferiscono che a dirlo siano gli altri). Ma continuo a restare convinto che con me è stato pesantemente scorretto anche per via di quell’occhiello che suona a tutta pagina: “Ruggero Marino è risentito perché in un articolo sul suo ultimo libro gli viene contestato che il grande Navigatore possa essere figlio di un papa”. Sono oltre 15 anni che continuo ad andare controcorrente, se tutte le volte mi dovessi risentire mi sarebbe già venuto un ictus. La invito inoltre, come inviterei anche i “genovesisti”, ma credo che in questo caso sia tempo perso, a farla finita con il cercare come unico alibi la teoria del figlio del papa. Nel mio nuovo libro su 12 capitoli, 341 pagine, pochi passi riguardano questo argomento, nel libro precedente si trattava addirittura di poche righe. E qualcuno ha cercato di approfittarne. In un’ipotesi che non si basa, ancora disinformazione, solo sulla somiglianza, ma anche, e non solo, su un documento trovato dall’Accademico dei Lincei Osvaldo Baldacci (uno dei pochi che si è dimostrato corretto, pur con le sue riserve) che parla di “Columbus nepos”, che a quel tempo voleva dire molte cose. L’intuizione di una inedita linea di sangue, a me sarebbe sufficiente che fosse “nipote”, come quella che Colombo potesse essere un cavaliere, un crociato ed un erede sia pure alla lontana dei Templari venne fin dall’inizio. Tanto è vero che nel libro del 1991, della Newton Compton, misi i due, il Cybo e Colombo, ritratti a confronto in copertina. Ma non ho mai voluto speculare su quello che poteva essere un plateale “scoop”, proprio perché, essendo giornalista, non volevo offrire ulteriormente il fianco agli strali dell’accademia. Pensai di dovere procedere per gradi e così ho fatto. Cercando prima di tutto di dimostrare che il finanziamento del primo viaggio di Colombo fu praticamente tutto italiano (e si portano i documenti) e che i re di Spagna non spesero un “maravedi”. Taviani, come detto, definì la notizia una “bomba”. Ma anche a quella “bomba” (accadde ben 16 anni fa) i colombisti preferirono mettere il silenziatore. Taviani aggiunse anche, nella Grande Raccolta Colombiana: “è doveroso dare atto a Ruggero Marino di essere stato il primo a rilevare come i vari argomenti esposti si colleghino con la strana richiesta ai Re della lettera del “libro Copiador” e abbia così riaperto e rivalutato il tema della partecipazione di Innocenzo VIII alla vicenda colombiana…”. Non ci capisce granché, ma almeno lo scomparso senatore un primato a me, a differenza dei miei contraddittori, lo riconosce. Il senatore fu anche facile profeta, quando annunciando che mi sarei messo a scrivere un libro, cosa che mi sconsigliò, concluse: “Non sa le critiche che si attirerà”.
Tornando al “figlio del papa” io ritengo che prima di scrivere e di saper scrivere bisognerebbe soprattutto saper leggere. Perché se si legge, senza preconcetti, il mio libro “Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari“ io lo dico chiaramente: non a caso parlo di “ipotesi suggestiva” che ribadisco - e lo spiego - soprattutto perché qualcuno ne ha tentato lo scippo. E l’ho riconfermato nell’articolo precedentemente scritto per “Il Giornale”, affermando testualmente “che Colombo possa essere il figlio di Innocenzo VIII o che possa essere genovese o meno non è la questione che mi interessa di più; io considero Colombo un uomo al di sopra delle parti, un patrimonio dell’umanità sul quale non è stata fatta piena luce e credo in un complotto della storia, che ha cancellato i suoi meriti ed il “suo” papa”; più oltre preciso che “del mio libro Innocenzo VIII costituisce solo una minima parte e nemmeno per me la più importante”. Mentre io ci tengo, con il nuovo libro, a portare avanti la tesi, dopo avere denunciato il complotto spagnolo, che Colombo sapeva benissimo quali terre avrebbe incontrate e cioè che sarebbe approdato in un mondo veramente nuovo e nient’affatto in Asia. Ma in un Cipango-America che traspare addirittura, a me pare inequivocabilmente, dal “Milione” di Marco Polo. E la professoressa Anna Maria Rimoaldi, l’erede e l’organizzatrice del “Premio Strega”, che collaborò con la grande scrittrice Maria Bellonci alla redazione di una preziosa versione del “Milione”, ha appoggiato fermamente le mie conclusioni.

Ma tutto questo non può valere al confronto del “pensiero unico”. In una polemica forzosa che più che una ricerca della verità mi pare una questione di tifo calcistico, campanilistico e soprattutto corporativo. Lei, invece caro Di Stefano, senza documentarsi come ho fatto io per 16 anni, durante i quali ho lavorato a tempo quasi pieno sulla scoperta dell’America, continua a demonizzare Innocenzo VIII e aggiunge che “coniugo i fatti in modo che dimostrino le mie tesi” (non ho mai visto qualcuno che per dimostrare qualcosa faccia l’opposto) e conclude affermando che io dico che “Colombo non era genovese”. Evidentemente è un veggente. Nel mio libro non è mai scritto, si afferma anzi che tutte le fonti coeve parlano quasi sempre di genovesità (anche intesa come Ligure) e aggiungo persino in questo senso una testimonianza del tutto inedita (altro primato?), quella dell’umanista e poeta Battista Mantovano. Ma è pur vero che la “genovesità” potrebbe portarci anche un po’ più lontano… Fra l’altro io parlo di un papa genovese, di un Colombo definito genovese e possibile figlio del pontefice. Come fa a dedurne che la mia tesi sostenga che “Colombo non era genovese”? Anche se lo sospetto… Quanto ai 188 documenti “genovesisti” mi pare francamente un’esagerazione ridicola, che si condanna da sé per un personaggio di cui fino ad una certa età non si sa quasi nulla. E in questo caso mi rifaccio ad un commento di un altro appassionato, Pietro Canepa, che porta avanti le tesi della nascita a Cuccaro: “Il padre di Cristoforo Domenico, appare in ben 77 atti notarili. C’è da chiedersi come faccia un comune cittadino a recarsi 77 volte dal notaio nel corso della propria vita”. E basterebbe la logica, come sostiene anche Anunciada Colon, discendente dell’Ammiraglio, a dimostrare che dai movimenti e dalle frequentazioni di Colombo non si possa assolutamente arrivare alla conclusione che sia il figlio degli umili Domenico e Susanna Fontanarossa. Per non contare lo studio dettagliato di Gianfranco Ribaldone “Palabra maravillosa, la vita di Cristoforo Colombo fino al gennaio 1492 una riflessione sui documenti”, che conclude: “Non ritengo assodata, ma solo ipotetica, l’identificazione del padre dell’Ammiraglio del mare Oceano (e padre anche di Bartolomeo e di Giacomo, che in Spagna fu detto Diego) con Domenico di Quinto tessitore di panni di lana (e, in alcuni momenti della sua vita, taverniere e formaggiaio.”
E poiché mi si concede una parziale (contro una pagina intera di attacchi) “par condicio”mi sia consentito di dilungarmi anche in rapide risposte ad ulteriori interventi che, senza contraddittorio, fanno quadrato e sparano, con un’altra intera pagina di “j’accuse”, con fuoco concentrico e organizzato contro il sottoscritto. Faccio perciò presente a Dario G. Martini (ha letto il mio lavoro? non mi pare), pur nel rispetto dei suoi testi teatrali e dei suoi libri, che non ho assoluto bisogno e non ci tengo affatto che mi si riconosca la buona fede per ridurre tutta la mie ricerca a “curiosità” e per buttare forse con l’acqua sporca anche il bambino. Mentre gli ricordo che alla presentazione del mio libro il riferimento al “Codice da Vinci” fu fatto dal Direttore del Gr2 Mauro Mazza (e non da Gianni Letta, come sostiene Agosto), il quale fu subito rimbrottato dagli altri presenti, che non erano per niente d’accordo. Quanto ad adontarmene e prendere le distanze, perché? Io vivo di porta a porta, scrivo non certo per la sola Accademia. Cosa di meglio di un accostamento a Don Brown per portare avanti tesi sulle quali si vorrebbe, come si è riusciti a fare a Genova per 16 anni, che calasse il silenzio? Come confermerà un altro “augusto” intervento che vedremo in seguito. Quanto all’esoterismo, che anche Di Stefano tira in ballo, significa non capire o non sapere che era una “forma mentis” tipica di quel tempo lontano e quanto mai alta, perché mirava ad un uomo puro e perfetto campione dello spirito, piuttosto che ai palestrati e scimmieschi campioni del muscolo prodotti dalla scienza tecnologica. Ed è clamoroso che questo aspetto non venga colto dai laici, ma sia stato perfettamente compreso da Padre Paolo Scarafoni, rettore magnifico dell’Università europea. Il quale circa gli aspetti misterici del libro ha precisato che non si tratta di una concessione alle mode, ma di qualcosa di molto più profondo e spirituale. E visto che abbiamo fatto il nome del dottor Aldo Agosto, confesso che mi sorprendo di vederlo aggregato a questa “compagnia”. Non so se anche lui abbia letto attentamente o meno il libro, presumo di no. Perché è uno dei pochi che in una lunga nota io ancora ringrazio ed al quale riconosco la correttezza, rispettando inoltre il suo indefesso lavoro a favore della tesi genovesista-famiglia-Colombo, pur certamente non condividendola. Né sognandomi mai di dire che io abbia il vangelo della verità in tasca. Quanto al fatto che sarei io “a campare e a voler continuare a campare su Colombo” posso garantirle che si sbaglia di grosso. Io su Colombo ho investito parte della mia liquidazione. Non dispongo di uffici e di segreterie ad hoc, tanto meno di studenti da sguinzagliare e da sfruttare per le tesi di laurea, né dei fondi che ricorrentemente piovono in copia sugli studiosi di Genova. Specie nelle ricorrenze, come questo 2006, che li vede ritrovare una solidarietà che di solito non dimostrano affatto ... Io ho fatto tutto di tasca mia (ne sa qualcosa la mia famiglia, che non ha mai condiviso l’impegno di lavoro e di energie), viaggi, sopralluoghi, acquisto di libri, fotocopie, collaborazioni pagate da me per qualche ricercatore di professione, telefonate un poco in tutto il mondo… quanto al mio primo libro ho visto solo due milioni di anticipo delle vecchie lire, zero per il secondo e zero sino ad ora per in terzo. Se lo chiama camparci… Tanto più che ho dovuto campare, come è ancora dimostrato, soprattutto di insulti e di omertà. Quanto al fatto, condiviso da Martini, che nel mio libro di Colombo si parla poco non posso che confermarlo. Convinto come sono che non si capirà mai la figura del navigatore se continueremo ad interpretarlo come un modesto e ignorante marinaio lasciandolo in Spagna, mentre cominceremo forse a decriptarlo meglio se lo ricondurremmo nell’alveo misterico e fascinoso della rinascenza italiana. In una secolare “decontestualizzazione”, che io tento di superare, indagando in ogni direzione, anche in quelle che potrebbero suonare contro le mie stesse tesi. Per aprire anche ad altri ricercatori quante più strade possibili in cerca della verità. Come le ho già detto Gianni Letta non ha fatto alcun riferimento al “Codice da Vinci”, ma ha detto tuttavia, a differenza dei suoi dubbi circa la scorrevolezza della lettura del mio “Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari”, di avere letto l’opera “tutta di un fiato” e che le mie argomentazioni gli hanno “instillato il dubbio” (a proposito di scienza…). Aggiungendo, bontà sua, visto che non pretendo tanto, di “considerarmi il più grande storico revisionista (ha precisato non in senso deteriore) degli ultimi decenni”. Da ultimo, caro Agosto, c’è un aggettivo nel suo articolo che mi fa accapponare la pelle. Lei dice di essere stato “sollecitato” (sembra che sia suonata l’adunata, a cui ha fatto seguito puntuale, vista la pagina, l’arrivano i nostri dei “compagni”). Da chi visto che “Il Giornale” non l’ha fatto? Dalla “compagnia”, dunque. Forse è troppo dire di “merende”, ma evidentemente “compagnia” resta, diciamo delle Indie: con tanto di conflitti di interesse sui quali non mi soffermo per carità di patria. Quanto al quadro del Berruguete risulta che Di Stefano tramite Rumeu de Armas (che è uno storico, mentre il professor Marini da me citato è uno storico dell’arte) parla di un Viceré di Napoli e Agosto di un re d’Inghilterra, a dimostrazione che la scienza vive di tesi e di antitesi. Quanto “all’acquiescenza pavida” degli storici italiani, da me denunciata, nei confronti della Spagna, caro Di Stefano, lei che c’entra, visto che nel suo intervento attacca anche le teorie degli spagnoli che cercano di fare diventare “loro” Colombo? E’ evidente che mi riferivo ad altri, come si legge pure nel mio libro. Mentre per una volta concordo invece con lei sul fatto che non ci riusciranno mai.
E veniamo all’articolo dal titolo “Chi ricerca deve sempre dimostrare” di cui è autrice una amabile e gradevole signora, con la quale ho anche piacevolmente cenato di recente. Ma che si trasforma in un’altezzosa vestale di Colombo, che scaglia a volte livorosa i suoi “dalli all’untore”, quando chi, come me “senza titoli”, osa accostarsi e affrontare l’argomento. L’articolo è ben scritto, paludato, ben argomentato, altezzoso, ma evasivo e sfuggente e denota una non proprio nobile tendenza a mantenere l’anonimato circa il bersaglio da colpire. Che non è una forma di elegante riserbo, ma solo un brutto vizietto che la dice lunga. Tanto è vero che era del tutto anonimo anche un precedente articolo che, se così non fosse stato, sarebbe stato forse passibile di querela e che comparve sulla cronaca locale della “Repubblica”, quando tempo fa venni invitato da Bruno Aloi a parlare di Colombo a Savona. In occasione del lancio dell’idea di fare del 12 ottobre una festa nazionale come il “Columbus day”. Allora la sacerdotessa Gabriella (manterrò anche io, ma solo in parte, l’anonimato, anche se a Roma si direbbe la “sora Lella”) sotto un titolo che suonava: “Le ipotesi immaginifiche sull’identità del grande navigatore, Colombo il balletto dei misteri”, per difendere strenuamente il dogma, cominciò con il dire che la mia presenza equivaleva a buttare l’iniziativa in “una farsa”, oltre ad altre insolenze, e concludendo “piantiamola lì sull’intervento di Innocenzo VIII e via discorrendo…”. Quell’articolo meritava una replica. Sono giornalista, conosco le regole della professione e confezionai la risposta. Mi si disse in un primo tempo che era lunga e la tagliai. Poi che era troppo “contro” e la addolcii. Infine il giornalista di “Repubblica” mi confidò, dopo aver commentato “bella lotta”, che era “amico” della signora in questione, che sui media di Genova gode di un potere quasi assoluto. La replica così non fu mai pubblicata. Alla faccia della libertà d’informazione. Questa volta il tono è diverso, ma la sostanza non cambia e l’intervento si conclude con una “regale” ed una arrogante citazione: “il mio silenzio è una condanna”. Verrebbe da dire troppo comodo. O come Totò che rispondeva “ma mi faccia il piacere…” all’onorevole che dichiarava “lei non sa chi sono io”. Il silenzio, in simili questioni, quello sì è sempre da condannare ed equivale unicamente ad una censura. Come è accaduto per 16 anni. Fosse almeno inteso come principio generale. Ma così non è visto che, ancora una volta, si dimostra a senso unico. Come quando è suscettibile di eccezioni per gli amici e gli amici degli amici pur disponibili alle bufale. Come quelle di Vittorino Andreoli, quello che ha il capello che si crede Einstein, il quale, in un Convegno “scientifico” organizzato dalla vestale, venne a parlare a Genova di Colombo, dicendo delle “psico-panzanate” sesquipedali, come tutti convennero (purtroppo è accaduto anche più di recente in un altro Convegno, dove l’esimia studiosa spagnola Consuelo Varela, con le carte di un processo da operetta, è venuta ad infamare ancora una volta Colombo). A quel Convegno mi si garantì dagli organizzatori che sarei stato invitato. Quando poi la scelta degli invitati passò in mano alla “scuola genovese” l’invito non giunse più. Mi riferirono, però, che in apertura dei lavori a fare il mio nome e a citare il mio precedente libro su Colombo fu il Cardinale Tarcisio Bertone.
E a questo punto vorrei concludere anche la mia pluri-replica con una citazione: “Sic transit gloria mundi” (una frase in latino, in certi casi, pare obbligatoria e a quanto pare non si nega a nessuno). E mi riferisco al defunto senatore Taviani, che presiedette alla Grande Raccolta Colombiana, dove in ogni tomo la commissione scientifica gli rendeva omaggio a tappetino ad ogni pié sospinto. Oggi leggo, a pochi anni dalla sua morte : “Solamente devo precisare che il Prof. Taviani, pur grande studioso, non scoperse nessun documento colombiano”; mentre su “Repubblica” ad opera della Presidente-vestale del “Centro Studi Paolo Emilio Taviani” si precisava: “Paolo Emilio Taviani s’era appassionato (!) allo studio di questo conterraneo”. Ma non era considerato dai “genovesisti” e non solo il più grande storico mondiale di Colombo? Io non avrei scoperto nessun documento, sono considerato un appassionato, vuoi vedere che il povero Taviani deve cominciare a preoccuparsi? Per quanto riguarda il senatore posso solo aggiungere che riguardo ai finanziamenti della spedizione di Colombo cominciò dicendo: “Fesserie di un giornalista”. Poi, però, mi chiamò al telefono, invitandomi a casa sua e ammise, anche per scritto, di avere cambiato opinione. Lui avrebbe anche detto nel 2000 che la teoria di Colombo figlio del papa era “una delle tante fantasie di mezza estate”. Non lo escludo affatto. Ma vorrei tanto che fosse vivo per vedere come reagirebbe alle varie teorie innovative portate avanti nel mio nuovo libro. Perché fondamentalmente era una persona onesta.
Gentilmente il Dottor Lussana mi ha invitato a leggere anche le lettere pervenute sulla questione al “Giornale”. Non sono riuscito a trovarne, al di là di quella di don Borgatti, che si mostra possibilista circa le mie ricerche, pur non volendo dispiacere alla “scuola genovese” e pur denunciando il “monopolio”. E di questo sentitamente lo ringrazio, anche se mi è sembrato, visto il contesto, l’intervento cristiano del sacerdote per consolare il condannato a morte. Il che mi ha portato ad una constatazione e ad una riflessione. Al fatto che paradossalmente è dovuto intervenire un uomo di fede, appartenente a quei chierici che al tempo di Colombo erano custodi del dogma, per difendere timidamente chi oggi viene a scontrarsi con i paladini della scienza, trasformatisi, per una singolare mutazione, nei sacerdoti dei dogmi scientifici del terzo millennio. In quei chierici del 2000 che si credono a si autoeleggono come unici portatori sani di verità assolute. Ma che in parte capisco. Perché mettere sia pure in discussione le loro certezze equivarrebbe ad un Fidel Castro che, in preda ad una crisi di autocritica marx-masochista, si presentasse sulla piazza per annunciare: “Amato popolo cubano il comunismo è stato una boiata (eufemismo) pazzesca!”. Potrebbe mai farlo?

Ruggero Marino firma

Membro (eretico) del Comitato Scientifico Colombiano

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