L'AVVOCATO DALLE CAUSE VINTE

Nell’esistenza di un uomo si verificano a volte strane coincidenze. Talvolta le coincidenze si sommano, paiono avere una puntualità sconcertante. Fino a sembrare non più frutto del caso, ma la firma apposta da quello che gli antichi chiamavano il fato. Il che avviene specialmente per le persone fuori del comune. E’ accaduto anche per la morte di Gianni Agnelli. Avvenuta nel momento più grave della crisi che ha colpito il gioiello di famiglia, la Fabbrica Italiana Automobili Torino, a poche ore dal passaggio delle consegne a colui che sarebbe stato il suo successore. A questo punto l’Avvocato è uscito di scena. Un segno del destino.

Gianni Agnelli 1Avvocato perché, visto che non ha mai esercitato? Ancora una volta può soccorrere il simbolo. Fu avvocato nel mondo intero di un’italianità da ammirare. In un’esistenza che gli ha concesso tutto e nella quale si è concesso tutto. Con uno stile raro, anche se non abbiamo sempre compreso il suo modo di vestire, spacciato per piaggeria come insuperabile eleganza. Gianni Agnelli apparteneva a una dinastia vincente, che amava e voleva fortissimamente vincere, alla quale tuttavia faceva da controcanto il dolore. Forse si spiega così la sua fame di vita negli anni di una protratta gioventù. Suo padre era morto in un incidente d’aereo, sua madre era morta in un incidente d’auto. Anche lui giocherà al volante con la morte: uno scontro lo lascerà claudicante. Amava la velocità, la sfidava. Era la sirena che lo aveva reso orfano precocemente.

Era bello, era prestante, era ricco, aveva le donne e gli amici che voleva. Poteva comprare tutto. Forse lo tormentava un dubbio, visto che diceva di “amare il vento, perché non si può comprare”. Era molto curioso, si annoiava facilmente. Andò in guerra, quando molti figli del denaro preferivano imboscarsi. Quando lo chiamarono alla guida della Fiat non si tirò indietro. C’è rimasto per lunghi decenni. Se l’Italia ha imparato a guidare lo deve a Gianni Agnelli. Ad una famiglia che, nel bene come nel male, ha segnato lo sviluppo del Paese, talvolta condizionandolo. Qualche volta facendo pagare il conto salato allo Stato ed ai contribuenti. Gianni Agnelli era un potente, il più potente nell’Italia del dopoguerra, dal miracolo economico fino alla fine del secolo. Ma non tutti i potenti hanno classe, lui l’aveva, come la sua famiglia. Forgiata da un nonno severissimo, temprata dai lutti. Si circondò dei passatempi che solo i magnati possono permettersi: la Juventus, la Ferrari, Azzurra… distribuendosi fra mare e terra.

Ma amava l’arte e si adoperò per la cultura. Quasi novello re Mida tutto ciò che toccava diventava oro. Non gli riuscì con gli affetti più cari. Come con il figlio Edoardo che, schiacciato forse dal nome, si gettò da un cavalcavia di quelle autostrade, che la fortuna paterna aveva fatto disseminare per lo stivale. Anche il nipote preferito, che aveva prescelto come erede, gli era stato sottratto giovanissimo da un cancro.

Gianni Agnelli 2Se l’America aveva i Kennedy, l’Italia aveva gli Agnelli. Conosciuti nel mondo alla stessa maniera. Forse più ammirati i secondi. A differenza dei Kennedy Gianni Agnelli la politica la sfiorò soltanto, diventando anche senatore, ma non se ne fece coinvolgere. Oggi l’Italia lo piange in un peana persino fuori misura. Vero è che nella penuria di grandi uomini, quei pochi diventano grandissimi. Si è parlato di re, di sovrano, di monarca… In una città riservata e fredda come Torino sono sfilati in centomila davanti al suo feretro. Come si fa per un papa. Ma, aldilà dei nomi illustri, il suo funerale ha avuto un plebiscito commosso e popolare. Fra i tanti bilanci, ancora impossibili sull’onda dell’emozione, quella fila lunghissima di operai e di gente comune è forse quello che conta di più. I dipendenti in lacrime hanno reso omaggio al “padrone”. Accade pochissime volte. Anche gli avversari ne hanno dovuto sottolineare la cavalleria. Allo stadio il minuto di silenzio si è trasformato in un minuto di applausi. La Juve, che non poteva non vincere, ha giocato molto bene per 45 minuti. L’Avvocato se ne andava sempre dopo il primo tempo. Come se la squadra sapesse che anche il suo fantasma, nel secondo tempo, non ci sarebbe stato più.

Come ricordarlo? Noi preferiamo farlo con quella foto rubata da un paparazzo che lo ritrasse ormai bianco patriarca, mentre si gettava in mare completamente nudo. Una delle tante libertà di una personalità anche fuori dalle regole nel privato, mai pubblicamente contro le regole. Nel rispetto quasi militare dei ruoli. Per la sua morte un soldato ha suonato il silenzio. L’Italia ha perduto un Avvocato dell’essere italiani. L’Avvocato di un’Italia, purtroppo, in via d’estinzione. Che, lutto dopo lutto, se ne va. Senza sapere ancora quale e che stile avranno i sostituti.

Ruggero Marino firma

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