VEDO IL FESTIVAL DI SANREMO E NON ME NE VERGOGNO

Vedo Sanremo e non me ne vergogno. Lo considero una spaccato del paese alla stregua di un trattato sociologico. Fedele nei secoli a se stesso, ma ogni anno con alcune varianti indizio degli umori cangianti della società. Per la verità ora lo vedo a sprazzi, perché data la lunghezza non resisto ad un’attenzione continua. Ma se la manifestazione canora non mi scandalizza, mi lascia esterrefatto il contorno. Il profluvio di commenti e di notizie. E la venerazione per Maria-Madonna, brava come Conti. Anche se manca al tandem il volo, il guizzo estemporaneo (sorvoliamo sulla trovata dei denti posticci). Mai, in una forma di soggezione psicologica, nessuno che la critichi, anche quando veste triste come una damina di San Vincenzo (ahi quel completino nero!) o si presenta con il volto rinfrescato, ma singolarmente cinesizzato. Mi scandalizzano le paginate sprecate per uno spacco di una bella donna (vedi Leotta) a coscia levata. Con appendice di un’altra coscia televisiva (vedi Balivo) che la critica. Ma soprattutto il cicaleccio continuo, da pollaio a orario continuato, che ci perseguita su tutti i canali dalla mattina alla sera. Il Festival dura 5 giorni, è già un’eternità, ma il paese e soprattutto i media non possono concentrare per una settimana intera tutta la loro attenzione su una passerella musicale e sui suoi protagonisti. Canta che ti passa? Bruxelles se ne frega. Sanremo è Sanremo? E sti caz…”. Per fortuna con le scimmie è tornata per un attimo l’allegria. Incoscienza?
E come nota lieta “gli eroi del quotidiano”. Una trovata paraculesca, un po’ zuccherosa, che ci ricorda però che al di là della santa Maria e delle canzonette, l’Italia che non si arrende, per fortuna, è anche questa.

Diletta Leotta Sanremo

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