Un incunabolo, carte antiche e una accurata ricerca svelano i retroscena sulla scoperta dell’America.

Al ritorno dal primo viaggio, Cristoforo Colombo nel 1493 scrisse una lettera che divenne famosa. La lettera fu stampata a Basilea nel 1994 dal proto-tipografo Johann Bergmann de Olpe in un libro contenente una pièce teatrale di Carolus Verardus ''In laudem Serenissimi Ferdinandi Hispaniorum regis, Beticae et regni Granatae, obsidio victoria et triumphus, Et de insulis in mari Indico nuper inuentis''. L’edizione è oggi un raro incunabolo nel quale una delle xilografie che l'accompagnavano è stata riprodotta da Ruggero Marino nel suo ultimo libro. L’incisione riproduce una caravella con sulla vela la croce a otto punte che riecheggia quella templare. Inoltre, sulle quattro isole appena ‘scoperte’ si notano guglie che paiono campanili di chiese. 

Ruggero Marino già ci è noto per le sue ricerche e ipotesi su Cristoforo Colombo e riprende qui tutti i dubbi che ci aveva fatto sorgere nel 1991 con il suo precedente ''Il Papa tradito''.
Il tradimento, che anche qui ritorna nel sottotitolo ''La storia tradita e i veri retroscena della scoperta dell’America'', sta in quei 500 anni che hanno fissato paletti che, veri o falsi, sono oggi ben difficili da demolire. In sostanza: il 12 ottobre del 1492 Colombo sbarcava sì nelle Indie, ma la storiella che avrebbe con quel primo viaggio scoperto casualmente il nuovo mondo, non quadra. 
Il sospetto che le Americhe fossero note fin dall’antichità c’è, eccome. Ma ci si ostina a pensare che Colombo avesse scoperto il nuovo continente solo perché intendeva raggiungere (per una via piú breve?) il Katai, cioè la Cina di Marco Polo. E il misterioso Cipango, che il Giappone non è, come si vuol far credere. Ruggero Marino ci spiega l’arcano al termine di sedici anni a una ricerca intensa.

Veleni e non solo
Spiace che un libro come questo non entri nelle hit parade dei più venduti. Dispiace perché è un saggio che si legge volentieri anche se richiede un certo impegno per seguire il complesso itinerario che non manca di nutriti riferimenti alla complicata storia medioevale, bizantina, ottomana e islamica.
Marino dimostra, con la ricca messe di note (ben 68 pagine su 270), di aver scandagliato tutto il possibile, comprese iscrizioni tombali e documenti gelosamente custoditi in Vaticano, che si collegano a questa intricata e incredibile storia. Intricata, come la politica rinascimentale, per dimostrare, finalmente, ciò che in parte si sa o si suppone.
Forse Cristoforo Colombo era figlio di papa Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo, nato a Genova e proveniente dalle isole egee dove i genovesi avevano colonie, dove si incrociavano le civiltà. Marino ricostruisce la storia di questa famiglia e di un periodo assai delicato in cui le grandi potenze si scontravano, come oggi, per il predominio delle risorse irrinunciabili per la ricchezza e il potere. Chi scopriva le strade per ottenere un vantaggioso commercio magari in luoghi non conosciuti, teneva per sé queste preziose conoscenze.
In sostanza, Marino non fa che riposizionare Innocenzo VIII in un ruolo che egli era stato tolto dalla Storia. Un papa, che all’epoca rappresentava il massimo potere sulla Terra, che regna dal 1485 al 1492, morendo avvelenato, consuocero di Lorenzo il Magnifico. Secondo la Storia, questo papa non avrebbe nulla a che fare con i viaggi di Colombo. Ma, come dimostra Marino, secondo una Storia riscritta, guarda caso, dal papa successivo, Alessandro VI, un Borgia (Rodrigo) e per giunta spagnolo (padre del ben noto Cesare Borgia).
La storia e il mito
E allora chi era veramente Colombo? Perché un semplice figlio di lanaiolo dell’entroterra ligure, aveva studiato all’Università, conosceva le lingue, frequentava principi, cardinali e re? Perché si chiamava proprio Cristoforo, cioè portatore di Cristo? E perché Colombo che, come sappiamo, è il cognome dato ai trovatelli, perché portati dallo Spirito Santo? Sono domande cui Marino riesce a dare risposte. Soddisfacenti, ma scomode. Ecco perché il libro è poco pubblicizzato, ed è venduto piú nei Paesi di lingua spagnola e inglese che in Italia. Del resto "non bisogna avere paura dei miti", come disse il professor Loris J. Bononi a conclusione del "processo a Gutenberg" di Genova, quando fu sollevato il dubbio che la sua famosa Bibbia non fosse stata stampata con caratteri mobili, suscitando lo scandalo degli accademici. Se un mito è da demolire, demoliamolo e ricostruiamo la storia su fondamenta più vere anche se per il momento non sono ancora abbastanza solide. Il tempo farà il resto.

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